Recensione: School of Rock - Notizie dal West End
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Marta Corato

Recensione: School of Rock

School of Rock Basato sul film omonimo del 2003, diretto da Richard Linklater, School of Rock arriva a Londra dopo aver raccolto un successo incredibile a Broadway. Anche nella versione britannica il successo è meritatissimo: questo musical con un’attitudine rock è spigliato, divertente, coinvolgente.

La storia segue esattamente quella (a tratti improbabile) del film. Dewey, un chitarrista licenziato dalla sua band e con poche prospettive, finge di essere il suo migliore amico e inizia a lavorare come supplente ad una scuola privata d’élite.

Non ci vuole molto perché Dewey – che di certo non sa insegnare la matematica – scopra che tutti i suoi studenti hanno talento musicale, e decida di trasformarli in una rockband e partecipare alla Battaglia delle Band.

La trasposizione in musical di School of Rock è semplicemente irresistibile. Mentre fa un po’ fatica nei primi minuti, ma decolla appena i bambini entrano in scena, diventando energico, autoironico, cantabilissimo.

Se c’è qualcosa che il musical perde rispetto al film, è la presenza dei classici rock che caratterizzavano la versione originale. Ad ogni modo, le musiche del gigante del teatro Andrew Lloyd Webber bastano e avanzano per riempire quel vuoto.

Webber intreccia pezzi orchestrali e più “da musical” come il numero If Only You Would Listen, in cui i giovani protagonisti si rattristano per le difficoltà che hanno a comunicare con i genitori, a pezzi dallo spirito davvero rock come Stick It To The Man che, come il titolo suggerisce, è tutto dedicato a combattere il potere (per quanto possa farlo un musical per famiglie).

I giovani attori che interpretano gli studenti, tutti tra i 9 e i 13 anni, sono assolutamente irresistibili: cantano ballate e pezzi rock senza battere ciglio, suonano tutti i loro strumenti live sul palco, danno energia allo spettacolo e al pubblico – il tutto mantenendo un accento americano quasi perfetto.

La colonna portante di School of Rock, ad ogni modo, è David Fynn, che riesce a interpretare un egocentrico senza effettivamente rubare la scena ai suoi giovani comprimari. Mentre il suo Dewey non è mai davvero repellente quanto lo trovano gli altri adulti nella storia, Fynn riesce a dare sostanza al suo personaggio e renderlo in qualche modo sfaccettato, invece della caricatura che un rockettaro disoccupato e sciatto si presterebbe a diventare.

La morale della storia di School of Rock è benevola: nonostante la veste rockettara, questo musical vuole scaldare il cuore e parlare di quanto sia importante lasciare che bambini (e adulti) possano esprimere sé stessi e le proprie passioni. A prova di famiglia, conquisterà anche i più scettici.

School of Rock a Londra